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Le sfide nella gestione dei beni confiscati alla mafia: intervista all’Avvocato Giovanna Riccardo

L’avvocato Giovanna Riccardo, laureata in giurisprudenza all’Università di Messina e specializzata in consulenza del lavoro e gestione dei beni confiscati, è esperta nella gestione delle opere d’arte confiscate alla criminalità organizzata.


Con un Master di II livello in prevenzione dalle infiltrazioni criminali e un’esperienza significativa nell’amministrazione dei progetti del PNRR, Riccardo ci guida attraverso le principali sfide e le opportunità legate alla confisca dei beni mafiosi.





Quali sono le principali sfide legali che si incontrano nella confisca di beni legati alla mafia?


La gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata sta assumendo una rilevanza economica sempre maggiore. Sono diversi gli ostacoli da superare perché si realizzi compiutamente quel principio simbolico che vede le ricchezze sottratte alla criminalità organizzata trasformarsi in opportunità di sviluppo territoriale e comunitario. Le principali criticità sono da individuarsi nella lunghezza dei procedimenti, nella ridotta disponibilità finanziaria dei Comuni e degli enti del terzo settore che rendono difficoltoso l’avvio di progetti di reimpiegò sociale delle strutture sottratte alla criminalità organizzata, sopratutto nel caso di immobili in cattivo stato manutentivo o soggetti a spese di gestione. Anche in presenza di adeguate risorse la scarsa conoscenza della loro esistenza e delle modalità di acquisizione costituiscono significativi elementi di intralcio al riutilizzo sociale dei beni nell’ambito delle politiche di contrasto alle mafie. Le cause molteplici e profondamente intrecciate sono altresì riconducibili ad alcune inefficienze dei protagonisti della gestione dei beni - dagli amministratori giudiziari, all’Agenzia Nazionale, al Fondo Unico di Giustizia - ai difetti della normativa in materia e alla scarsa cooperazione tra gli attori. Le ulteriori difficoltà nell’elaborare stime affidabili ed attuali sul valore dimezzato dei beni e la lunghezza dei tempi necessari alla verifica dei crediti dei terzi in buona fede delineano un panorama complessivo che richiede una rinnovata capacità di concentramento delle energie umane e finanziarie.


Come viene determinato il valore e la proprietà legittima delle opere d'arte confiscate alla mafia?


Il valore simbolico delle opere confiscate è espressione virtuosa della capacità dello Stato di restituire ai territori beni culturali illecitamente accumulati per favorirne il senso di appartenenza. Ma, prima occorre che il valore e la proprietà vengano affidate ad esperti d’arte o storici d’arte, poi catalogate, smistate, sottoposte a expertise per accertarne l’autenticità o semplicemente la data e sottoposte all’analisi del MIBACT per essere ricontestualizzati e destinati ai musei legati alle attività degli artisti. L'interesse della criminalità sull'arte contemporanea è dimostrata anche dai dati sulla contraffazione delle opere d’arte: emerge, infatti, la facile circolazione di contraffazioni in ambito malavitoso in mancanza di controlli sulla provenienza o addirittura di una connivenza ai fini delinquenziali di chi costituisce la raccolta. Il tema dell’autenticità, insieme a quello del valore, è uno dei terreni più ibridi, e specifici, del mercato dell’arte. L’arte del falso, non dimentichiamolo, può essere estremamente redditizia e talora la maestria di esecuzione rasenta la perfezione; oggi, con il perfezionarsi delle moderne tecniche di datazione e di analisi, l'identificazione del falso ne ha tratto grande beneficio.


Urge sempre più un potenziamento della rete di controllo attraverso l’implementazione di misure tecnologiche più raffinate, quali ad esempio l’intelligenza artificiale, per compiere  puntuali schedature, censimenti sistematici delle opere oggetto di indagine.


Quali sono i passaggi legali necessari per trasferire i beni confiscati dalla mafia alla gestione statale o comunitaria?


Nell’iter che dal sequestro conduce all’eventuale destinazione dei beni occorre tener presente che  soggetto centrale nella gestione degli stessi fino alla confisca di I grado è l’amministratore giudiziario, che  è chiamato a svolgere una sorta di gestione sostitutiva per conto altrui in attesa che sia determinato il futuro titolare, all’interno di un meccanismo procedimentale garantito .


Viene scelto tra gli iscritti all’albo nazionale degli amministratori giudiziari, gestito dal Ministero della Giustizia e articolato in una sezione ordinaria e in una aziendale.


I compiti assegnati all’Agenzia attengono alle due fasi del processo di gestione:

  • la fase giudiziaria che va dal provvedimento di sequestro alla confisca definitiva e si esplica in una attività di ausilio e di supporto all’autorità giudiziaria e nell’attività di amministrazione dopo la confisca di primo grado. 

  • la fase amministrativa che inizia con la definitività del provvedimento di confisca che è comunicato, dalla cancelleria dell’Ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento all’Agenzia, nonché al prefetto e all’ufficio dell’Agenzia del demanio competenti per territorio in relazione al luogo ove si trovano i beni o ha sede l’azienda confiscata”.


Dal ricevimento della suddetta comunicazione l’Agenzia ha a disposizione 90 giorni (prorogabili di ulteriori 90 giorni in caso di operazioni particolarmente complesse) entro i quali emettere il provvedimento di destinazione deliberato dal Consiglio direttivo dell’Agenzia.


Il percorso che porta alla destinazione e alla consegna dei beni confiscati è una fase delicata del processo di gestione; è necessario sanare tutte le criticità che gravano su di essi (ipoteche, occupazioni abusive, identificazione esatta degli estremi catastali, etc...) con lo scopo di “ripulirli” e consentirne quindi l’assegnazione.


Una volta destinato, l’Agenzia, mantiene il potere di “verifica dell’utilizzo dei beni da parte dei privati e degli enti pubblici, conformemente ai provvedimenti di assegnazione e di destinazione” e di “revoca del provvedimento nel caso di mancato o difforme utilizzo del bene rispetto alle finalità indicate”.


Quali misure vengono adottate per garantire la manutenzione e la protezione delle opere d'arte confiscate?


La manutenzione e la protezione costituiscono un pilastro fondamentale affinché le  opere d’arte possano preservarsi nel corso del tempo, attraverso  l’uso di tecniche innovative per assicurare che il patrimonio culturale rimanga accessibile e intatto per le generazioni future. Le opere d’arte, anche le più imponenti e resistenti, non sono immuni all’usura del tempo, ai danni accidentali e alle condizioni ambientali sfavorevoli; sono soggette a deterioramento e possono subire danneggiamenti che possono derivare dall’azione umana o dalle avversità ambientali. 


L’esposizione  realizza certamente l’obiettivo più significativo di un lungo cammino: affiancare alla produzione di mostre classiche e contemporanee una vocazione civica, individuando nelle esposizioni e nella divulgazione dell’arte e della cultura una straordinaria leva contro l’illegalità, la criminalità, le mafie ed ogni forma di sopruso e di prepotenza. 


Sarebbe importante costruire  un centro di ricerca sui furti d'arte dotato di un grande museo che esponga le opere e i reperti recuperati: un progetto per l’arricchimento conoscitivo del fenomeno, attraverso lo sviluppo della ricerca metodologica e di quella tematica, impegnandosi a individuare lacune informative e a generare un miglioramento delle fonti e un incremento della rilevanza dell’informazione statistica. 


Se finiscono in deposito, condannati al silenzio, tutto questo rischia di sembrare, o perfino di essere, inutile. Promuovere una cultura della legalità è la reazione della società civile contro la mafia.


In che modo la confisca di beni mafiosi può contribuire alla lotta più ampia contro la criminalità organizzata?


Promuovere su un bene confiscato iniziative e attività che ne consentano un uso visibile e partecipato da tutto il territorio, è un modo innovativo per sottrarre consenso ai mafiosi e per favorire la costruzione di una fiducia sistemica e di una rete di relazioni alternativa, che ha riflessi positivi sull’attenzione antimafia della comunità locale. È sui diritti negati che mafia e criminalità agiscono per legittimarsi e rafforzare il proprio potere. La previsione del riutilizzo sociale dei beni confiscati ha rappresentato l’inizio di una nuova fase storica del contrasto alla criminalità che ha riconosciuto un ruolo di centralità assoluta alla comunità.


La trasformazione dei beni serviti a rafforzare la criminalità organizzata in attività gestite da giovani e da associazioni che si ripropongono finalità sociali o di pubblico interesse, ristabilisce quel clima di fiducia nelle istituzioni alla base del progresso e dello sviluppo di una società libera che vuole crescere nel più assoluto rispetto della legalità. 


È la normativa stessa sui beni confiscati a ritenere determinante la partecipazione civica.

Il primo valore aggiunto apportato dal riuso a fini sociali di un bene confiscato è il valore simbolico: questo consiste – al di là della repressione dello Stato – in un utilizzo virtuoso dei beni, che dovrebbe scardinare sul piano sociale la legittimazione mafiosa. Inoltre, come è stato giustamente sottolineato, la previsione del riutilizzo sociale dei beni confiscati ha fatto emergere chiaramente anche una nuova dimensione del ruolo dell’amministrazione dei beni: non più statico e volto alla conservazione del bene, ma dinamico e proattivo, volto a reintrodurre il bene in un contesto sociale sano, attraverso il coinvolgimento di nuovi soggetti provenienti dalla società civile e dal mondo del terzo settore.


Rete è parola fondamentale quando l’intento è quello di creare un impatto: è attraverso la rete che si possono creare relazioni, è attraverso la rete che competenze diverse possono essere riunite per un unico scopo, è attraverso la rete che si rende più semplice creare best practices ed esportarle. L’esistenza di una rete di soggetti attorno al riutilizzo di un bene confiscato alla mafia sembra essere necessaria per far operare in maniera congiunta e corale tutte le forze del territorio; le associazioni e cooperative infatti non possono essere lasciate sole nella gestione del bene, ma necessitano di essere accompagnate.

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